L’impotenza appresa: la piccola corda che tiene legato un grande elefante

A tenere legato il grande elefante, non è semplicemente la corda, ma il suo sistema di credenze. Questo meccanismo viene definito impotenza appresa.

Che cos’è l’impotenza appresa?

Il concetto è stato studiato per la prima volta nel 1975 da Martin Seligman e si riferisce a quella condizione per cui una persona assume un atteggiamento rinunciatario rispetto alle situazioni della vita.

Seligman e collaboratori iniziarono a studiare il fenomeno su diversi gruppi di animali e giunsero alla conclusione che gli animali erano in grado di apprendere la fallacia delle proprie azioni e che, in tali condizioni, si aspettavano che il loro comportamento non sarebbe stato utile nel futuro diventando, pertanto, passivi.

Sulla base di queste conclusioni, i ricercatori decisero di studiare il fenomeno anche sugli esseri umani.

In uno degli esperimenti, furono coinvolti tre gruppi di persone condotte in una stanza di laboratorio.
Il primo gruppo era sottoposto ad un forte rumore che poteva essere interrotto trovando la giusta combinazione di bottoni; un secondo gruppo che, sottoposto al rumore, non poteva farlo cessare con nessuna combinazione; un terzo gruppo che non era sottoposto ad alcun rumore.

Nella seconda parte dell’esperimento, i tre gruppi furono portati in un box a due comparti dove se veniva appoggiata la mano da una parte si attivava un rumore fastidioso, spostandola nell’altra il rumore cessava.

I ricercatori osservarono come il primo e il terzo gruppo di persone appresero facilmente che bastava spostare la mano nell’altro comparto per far cessare il rumore; il secondo invece (quello precedentemente esposto ad un rumore inevitabile) rimase immobile e non provò nemmeno a spostare la mano, dimostrando di aver appreso di essere impotenti al rumore.

Questi risultati furono entusiasmanti per i ricercatori in quanto se l’impotenza poteva essere appresa di fronte a stimoli irrisori (come un rumore), era ancor più comprensibile che gli esseri umani imparassero l’impotenza anche in situazioni più gravi e drammatiche.

Si tratta di una vera e propria convinzione secondo la quale, nonostante l’impegno, non sia possibile ottenere risultati positivi quindi è meglio lasciar perdere.

Tutto gira intorno alla percezione di sé: l’individuo si percepisce incapace e inefficiente e sente di non avere alcun controllo sugli eventi e sulla vita.

Da dove ha origine questa condizione di impotenza?

Il nostro cervello, che ricorda tutto e vuole risparmiare fatica, sa che alcuni tentativi non sono andati a buon fine e apprende la modalità “non provarci, tanto non riesci, tanto non ne vale la pena, non ce la puoi fare”. Quindi, le situazioni, più piccole o più grandi, vengono affrontate senza esiti, o meglio non vengono proprio affrontate.

Come si manifesta nella quotidianità, l’impotenza appresa?

Si manifesta a livello di azioni per cui risulta più facile restare nella condizione che si conosce invece di provare a cambiare qualcosa, anche se la condizione che si sta vivendo non è del tutto soddisfacente.
A livello di autostima, si percepisce che la propria opinione non è importante ed efficiente a tal punto che, anche di fronte ai successi, non se ne recepisce l’importanza.
A livello di pensiero, ciò che dice l’altro è più importante di quello che pensiamo noi; tutto questo ovviamente con gravi danni alla propria autostima.

Come possiamo prenderci cura di noi quando l’impotenza appresa prende il sopravvento?

Spesso accade che questa percezione derivi da una situazione iniziale in cui abbiamo appreso che le nostre azioni non contano. Ci troviamo ripetutamente in situazioni di difficoltà da cui sentiamo di poterci allontanare; situazioni di qualunque gravità: dal trauma più importante alla delusione minima. Il punto è che impariamo l’impotenza e ci convinciamo di non avere alternative.

Nel suo libro “Imparare l’ottimismo” (che vi consiglio), Seligman spiega che per uscire dallo stato di impotenza appresa, è utile cambiare le proprie credenze, modificare la visione di noi stessi e della vita in generale.

A volte può essere utile partire dal mettere in dubbio il nostro “finale”: riesaminare l’evento, può aiutarci ad uscire dal nostro schema e insegnarci che le cose sono andate in un determinato modo per tanti motivi.

Un altro utile esercizio, possiamo recuperarlo dalla mindfulness e dalla meditazione: prova a sederti in un posto comodo, con uno specchio davanti, osserva ciò che vedi davanti a te, senza giudizio (ho detto senza giudizio…). Puoi vedere una persona solitaria, forse un pò triste, o forse stranita.

Ciò che importa, è che tu impari a riconoscere che quella persona sei tu, di quella persona hai bisogno ed è con questa persona che ti muovi nel mondo. Fai due respiri e prova a sperimentare la compassione.