In diverse occasioni ho parlato e scritto di disturbi del comportamento alimentare, ma ultimamente mi capita di riscontrare problemi di questo tipo con diversi pazienti.
In particolare, quello che molti di loro mi riportano è il così detto binge eating, ossia la tendenza ad ingerire grandi quantità di cibo in un tempo molto ristretto.
Come riconoscere il binge eating?
Spesso il binge eating è accompagnato da un successivo senso di colpa e vergogna che porta a mangiare di nascosto.
I due fattori sottostanti al binge eating sono il controllo e il piacere; fondamentali e presenti nella vita di ognuno di noi.
Cosa è il “controllo”?
Il controllo, in questo caso, è la convinzione – per lo più fallimentare – di poter controllare in modo razionale comportamenti dettati dalle emozioni.
Se l’abbuffata nasce da un’esigenza emotiva, la convinzione razionale di non ricadere non può che essere disastrosa.
Questo è ancora più vero se siamo di fronte ai centri primari e primitivi della nostra mente, da cui scaturiscono per esempio il piacere o la paura.
Cosa è il “piacere”?
Il piacere che scaturisce dal nostro rapporto con il cibo provoca due effetti su di noi: possiamo permettercelo, ma allo stesso tempo dobbiamo contenerlo se non vogliamo farci travolgere.
Ed è da qui che si innescano il volere “della pancia” e il volere della testa: più la testa si sforza, più la pancia reclama che il suo bisogno venga soddisfatto.
Chi non ha mai provato la sensazione per cui più si vuole evitare qualcosa, più le si va incontro? Probabilmente, l’alimentazione è una di quelle situazioni in cui questo meccanismo si instaura con più facilità.
Se si riesce ad inibire il volere “della pancia” si provocherà frustrazione; se non si riesce ad inibire, diventerà travolgente, svegliando in noi il bisogno di abbuffate dei cibi che piacciono di più, che in genere sono anche quelli meno sani o di cui ci si priva.
Come fermare il binge eating?
L’assunto è che più ci si evita una cosa e più la vogliamo; ma se ce la concediamo, allora possiamo anche rinunciarvi.
Come si traduce questo nel rapporto con il cibo?
Un esempio può essere la possibilità di concedersi il cibo che piace in quantità e tempi accettabili.
In questo modo non avremo detto di no al desiderio e al tempo stesso saremo in grado di controllarlo.
Se per esempio mi concedo di mangiare un dolce dopo ogni pranzo, alla fine della settimana la mia bramosia di dolce avrà un altro peso.
Questo accade perché il senso del piacere si modifica, attivando il principio di autoregolazione (molto importante in Gestalt).
Nella mia carriera professionale incontro tante persone che usano il cibo come coccola e consolazione, ognuno per motivi e vissuti propri e diversi.
Accade spesso di sentire persone ingabbiate in regimi alimentari che non si addicono alle loro esigenze, che poi si lasciano andare in profonde abbuffate di cui si vergognano.
Per comprendere “il sintomo”, è sempre utile cercare di capire come si sono inserite nella vita della persona, come influiscono e che messaggio stanno cercando di mandare.
Questo è il compito della terapia.
Nel frattempo, è possibile lavorare verso il benessere cercando di capire i bisogni, assecondandoli nella “giusta misura” affinché possano essere vissuti come parte di noi e non come demoni. Si tratta di percorsi impegnativi proprio perché hanno a che fare con le nostre emozioni più profonde.
Diventa importante non solo capire perché, ma anche di cosa si ha bisogno in quel momento, cosa ci sta dicendo il nostro corpo, quale reale esigenza stiamo cercando di soddisfare.
Concedersi lo “sgarro” può essere accettato, e forse può essere importante per creare un nuovo equilibrio sempre più sano, con nuove misure e pesi diversi.