È passato tanto tempo dall’ultimo articolo sul mio blog. Nel mezzo, è arrivata una pandemia, evento unico (si spera) e spaventoso che ha modificato le vite di molte persone.
Ora che il lockdown ci consente di riprendere alcune nostre attività, WellTv mi ha fatto la richiesta di rilasciare un’intervista sul lutto, la sua elaborazione e i rituali funerari.
Qualcuno di voi si chiederà perché un’intervista su questo argomento, così pesante e difficile in tempi che, già di per sé, lo sono.
Il Coronavirus ha lasciato molte vittime alle sue spalle, ma vittime non sono solo coloro che oggi non ci sono più, ma anche chi ha subito la perdita di un caro (in alcuni casi, anche più di uno).
Il Coronavirus ci ha impedito di salutare i nostri defunti seguendo i riti funerari che ci accompagnano da sempre, lasciandoci nella solitudine, senza il sostegno di amici e parenti, senza poter avere contatto con il defunto, senza salutarlo, accarezzarlo, vestirlo e lasciarlo andare.
Chi è morto, è morto da solo e chi è rimasto, ha pianto da solo.
Ecco perché ho accettato l’invito di Francesca Ghezzani, amica e conduttrice di WellTv: grazie al suo aiuto, volevo dare voce a chi questi momenti li ha vissuti e li sta vivendo.
Si, li sta vivendo, perché oggi che le cerimonie funerarie si possono fare, sono comunque limitate e chi soffre non può abbracciare, né piangere sulla spalla di un amico (sempre che questo possa essere presente al funerale, il numero di partecipanti è comunque limitato).
In questi mesi, ho proseguito il mio lavoro incontrando molta gente sofferente, a loro e a tutti coloro che non conosco, va il mio piccolo impegno in Tv. Ecco la mia intervista.
COME E’ DEFINIBILE UN LUTTO E LA SUCESSIVA RIELABORAZIONE IN TERMINI CLINICI?
Lutto è qualsiasi esperienza in cui la persona sperimenta un distacco doloroso e definitivo da qualcuno o da qualcosa di importante. Il dramma della perdita e della separazione da una persona cara è una delle emozioni più forti che siamo chiamati a vivere. È un cambiamento della nostra vita che comporta un distacco, un prima e un dopo che ci fanno sperimentare l’abbandono, la solitudine, la paura, il senso di colpa e la nostra vulnerabilità.
Tutte le perdite, tutte le separazioni provocano un necessario cambiamento in chi resta.
Che si tratti di un evento a cui eravamo preparati, o che l’evento sia stato improvviso, le reazioni di chi vive un lutto e/o una separazione costituiscono un percorso doloroso. Sia nella letteratura psicologica che sociologica, sono ogni volta più frequenti libri e articoli che riguardano il lutto, le cure palliative, l’attenzione psicologica ai malati terminali e il lavoro sulle emozioni con le famiglie che hanno subito una perdita significativa.
Siamo oggi in una fase che potremmo definire di “espansione e divulgazione del tema” a causa anche della pandemia e del Covid-19.
Elaborare un lutto vuol dire trasformare, andare oltre, superare – in questo caso – il dolore della separazione, del distacco. Il tempo del lutto è un tempo di afflussi improvvisi di dolore e di temporanei rasserenamenti, di malessere e di ritorno alla normalità.
OGNUNO HA UN MODO DIVERSO PER REAGIRE?
Si, il lavoro che svolgo con i pazienti, è sviluppato sulla base della personalità di ogni individuo, sul suo vissuto e stati d’animo. Nel processo non mi dimentico che, prima di tutto, c’è la persona.
Il paziente arriva con la sua storia e il suo dolore, che è unico anche se simile a quello di altri.
Il sentimento generalmente condiviso è il dolore mentale depressivo che segue l’esperienza del lutto e dello strappo.
Questo sentimento, è necessario in quanto segnala che tutta la nostra persona sta reagendo alla mancanza della persona cara.
Ecco perché non è utile sopprimere o soffocare ciò che è naturale e cioè l’espressione del dolore. II dolore ha un senso e va riconosciuto: è successo qualche cosa di molto brutto e piano piano posso rendermene conto. Anche le relazioni interpersonali e la rete di amicizie e di affetti che abbiamo costruito durante l’arco della vita possono aiutarci in questo percorso. Solo così il lutto potrà diventare un tempo che, faticosamente e lentamente, riuscirà a farci ritrovare il senso dell’esistenza e a vivere un presente capace di contenere la perdita che abbiamo subito.
Un dolore condiviso con gli altri non diventa minore, ma più tollerabile.
QUALI SONO I SINTOMI E I SENTIMENTI COMUNEMENTE PROVATI?
Da una prospettiva soprattutto olistica quale è la mia, il lutto può interessare tutti i livelli dell’esperienza:
• nel corpo si esprime con le lacrime, pesantezza al petto, stati di irrequietezza, insonnia, dolore fisico, debolezza, stanchezza, costrizione alla gola, perdita di appetito, mal di testa, nausea;
- a livello psicologico crisi di pianto improvvise, rabbia, rancore, sensi di colpa, apatia, ma anche abusi di sostanze e/o farmaci
• a livello cognitivo si vive un primo momento di incredulità, incapacità ad assumere la realtà della perdita; si possono riscontrare difficoltà di concentrazione, memoria, facile distrazione, si è smemorati e disorganizzati;
• dal punto di vista sociale, si tende al ritiro e all’isolamento benché ci sia enorme bisogno di aiuto, sostegno e compagnia;
• spesso c’è coinvolgimento a livello spirituale, sentimento di ingiustizia ed equità; la fede viene acquisita o al contrario persa; ci si interroga sulla bontà di Dio, della misericordia.
I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta.
Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto, aleggia la morte.
ENTRO QUANTO TEMPO DOVREBBE SUBENTRARE L’ACCETTAZIONE?
Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) si inizia a ipotizzare una “patologia del lutto” dopo che sono trascorsi almeno 12 mesi per l’adulto e 6 mesi per il bambino dalla perdita della persona cara.
Se trascorso questo periodo la persona è ancora preda del dolore e la vita quotidiana non ha ripreso il suo corso, pur con fatica, allora da un lutto fisiologico stiamo passando a uno persistente e si può ipotizzare una presa in carico da parte di uno specialista “psi”. In media si pensa che il tempo del lutto acuto sia di 6 mesi. Tuttavia, spesso la fase del lutto prevede fasi in avanti e fasi indietro, quindi momenti in cui ci si sente meglio, più forti, e momenti in cui il tutto non sembra passare mai.
L’elaborazione del lutto è un processo del tutto soggettivo e personale. La cosa fondamentale è dare alla persona il sostegno di cui ha bisogno.
QUANDO UN LUTTO DIVENTA PATOLOGICO?
Soffrire per un lutto è del tutto normale – al punto che bisognerebbe preoccuparsi, piuttosto, se la sofferenza per la mancanza di una persona che non c’è più non si presentasse affatto.
Quando una persona cara viene a mancare, il lutto è una tappa obbligata.
Si tratta di un periodo di dolore di durata variabile, attraverso il quale è necessario passare per poter ristabilire poi un nuovo equilibrio: non esistono scorciatoie.
L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta.
In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dal oggetto viene abortito.
QUANDO SI RENDE NECESSARIO UN SUPPORTO PSICOLOGICO?
Dal mio punto di vista, l’intervento psicologico può essere sempre utile perché si tratta di un evento traumatico che, in base alle situazioni richiede tempi e strumenti per essere elaborato e non sempre una persona riesce a far fronte a questo importante cambiamento di vita. Come ogni trauma, anche nel lutto c’è un prima e un dopo e un cambiamento da affrontare.
L’aiuto è necessario perché permette alla persona di parlare della sua “perdita”, un parlare non fine a se stesso, ma finalizzato a raggiungere la consapevolezza rispetto a quanto è accaduto, nei tempi e nei modi necessari per la persona.
L’INTERVENTO DI GRUPPO PUO ESSERE UTILE?
Assolutamente sì. Il mio approccio gestaltico insegna che il gruppo è una cassa di risonanza per le emozioni, che vengono accolte ed elaborate con chi sentiamo vicini, benché sconosciuti.
DI FRONTE ALLA PANDEMIA COSA RIMANE UGUALE E COSA CAMBIA?
I decessi dovuti al covid-19 hanno una serie di caratteristiche che espongono i superstiti ad una serie di complicazioni a cui anche noi terapeuti dobbiamo prestare molta attenzione perché non si tratta di un lavoro usuale e nemmeno semplice.
Si consideri che durante il picco della pandemia, le persone erano impegnate a sopravvivere e non potevano dare dignità ai loro morti.
Questo è il primo grande cambiamento.
Inoltre, improvvisamente, non possiamo più vedere la persona che se n’è andata.
Alcuni miei pazienti mi raccontano di sentirsi in una bolla: “nulla è accaduto e mio padre tornerà”.
La morte è sempre fuori controllo, ma i riti a cui siamo abituati, ci danno la possibilità di trovare un senso.
La rabbia, che è un sentimento normale nel lutto, spesso aumenta unitamente al senso di colpa (avrò attaccato io il virus?).
Il dolore diventa insopportabile per non aver potuto essere vicini durante la sofferenza.
L’unica piccola e magra consolazione è che tanti, nello stesso momento, stanno provando lo stesso tipo di dolore. Questo fa sentire meno soli, anche se gravidi di dolore.
Quindi in cosa si distingue la morte da covid dalle altre?
Non c’è stato un rito di saluto, non abbiamo potuto salutare e incoraggiare i nostri cari, non abbiamo potuto stare al loro capezzale, non abbiamo potuto condividere il dolore con parenti e amici.
Il lutto è rimasto sospeso.
Il mio aiuto inizia dando la possibilità a chi viene di raccontare cosa è successo: in una situazione surreale, racconta in modo lineare, per quel che puoi, ciò che è successo.
Raccontare con logica, anche temporale, aiuta a chiudere il cerchio (noi terapeuti diremmo chiudere la gestalt).
Il racconto permette di dire qualcosa che non è ancora stato detto, oppure è stato detto a pochi.
A volte invito a scrivere una lettera indirizzata al defunto, uno scritto (o più scritti) in cui nulla rimane in sospeso.
Dal punto di vista della quotidianità, stimolo le persone affinché si prendano cura di sé e rispondano ai loro bisogni primari: mangiare, dormire, lavarsi, sono azioni che devono essere compiute con regolarità, anche nel dolore più forte.
Prendersi cura di sé e del proprio dolore, può essere un inizio….
Viktor Frankl, medico e psichiatra che ha fondato la logoterapia diceva “Quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi”.